CUORE GUERRIERO

di Sam Sheridan

19 Gennaio 2021
Nasce dalla curiosità, il viaggio di Sam Sheridan, americano del Massachusetts, e dalla necessità di rispondere a una semplice domanda: perché tanta gente sale su un ring e si fa spaccare nasi, sopraciglia, orecchie, ossa e mandibole combattendo?
Cosa spinge tanta gente a cercare la lotta, il confronto fisico con il proprio simile? Perché?

CUORE GUERRIERO

  • Marco Sberla
  • 19 Gennaio 2021

Cuore Guerriero (A Fighter’s Heart) è un libro che comprai, agli inizi del mio percorso, un libro che mi affascinò e che spero possiate apprezzare abnche voi.

 

“Avere un cuore da combattente, essere temerari, ha a che fare con il conoscere se stessi e il non aver paura della sconfitta. È così che diventi una versione migliore di te stesso. La nobiltà è una conseguenza di questo atteggiamento, proprio come l’amore è una conseguenza dell’aggressività.” [pg.441]


>> di Sam Sheridan
ed. Piemme
Traduzione di Giovanni Zucca <<

Tutto il nostro mondo, come siamo abituati a conoscerlo, nasce dalla curiosità. I miti di Ulisse e Giasone sono solo uno specchio della nostra anima, l’essenza prima e ultima del nostro essere uomini. Tutto nasce dalle domande, così come da una domanda prende avvio la ricerca di Sam Sheridan all’interno mondo del combattimento che porterà a Cuore guerriero, un vasto reportage in prima persona in lungo e in largo per i quattro angoli della Terra alla ricerca dei miglior professionisti di arti marziali come la muay thai, il ju-jitsu brasiliano, le Mixed Martial Arts, la boxe, per sconfinare poi nel combattimento tra cani e tra galli e nell’elemento più contemplativo e interiore rappresentato dalla meditazione, aspetto delle arti marziali orientali che la nostra società-centrifuga che gira sempre a mille all’ora troppo spesso ha dimenticato, privilegiando l’esasperazione agonista dello sforzo fisico piuttosto che quello mentale: “Noi tutti abbiamo una ben precisa responsabilità nei confronti della vita, o di Dio se preferite, quella di gustare, toccare e fiutare ciò che dobbiamo sperimentare. Dobbiamo fare tutto. Se uno si trova davanti alla scelta fra fare e non fare qualcosa, deve farlo, perché il “non fare” l’ha già fatto anche troppo. Questo può sembrare puerile, e al limite anche pericoloso, me ne rendo conto, e c’è un mucchio di cose che io stesso ho scelto di non fare per mille motivi. Mi hanno insegnato l’educazione. Non ho mai fatto male a nessuno, tranne a persone incontrate su un ring. E non corro rischi inutili. L’idea è riuscire a farcela restando intero, l’incolumità è il mio secondo nome. Ma sono convinto che lo dobbiamo al mondo, di essere curiosi. Qualcuno una volta mi ha chiesto se cercavo qualcosa. Io cerco ogni cosa.” [pg.60-61]

Quello che ne esce è un itinerario tra un mondo poco accessibile ai non esperti, ma che ha una portata evocativa e una morale di fondo adatta a tutti, anche a chi, su un ring, non ci è mai salito e non ha neanche in previsione di farlo nei prossimi tempi, anni, secoli. Perché la lotta non è solamente sul ring, una quadrato delimitato da corde in cui, a differenza che nel mondo là fuori, ci sono delle regole, ci si picchia duro ma mettendo in gioco tutto se stessi, tutto il tempo speso ad allenarsi più degli altri, l’addestramento, fisico e psicologico, atto a farti mollare un secondo o un centimetro dopo il tuo avversario. Il mondo fuori, invece, se ne fotte delle regole e della nobiltà, agli sconfitti non rimangono gli abbracci del vincitore, i complimenti del proprio angolo e il “a quando la rivincita?”. Ciò che rimane agli sconfitti, nella fottuta quotidianità feroce, è solo l’oblio. Se ce la fai sei un fenomeno, un uomo rispettabile, se ti va male sei un coglione, un inetto, uno da dimenticare: “La condizione maschile in America è contraddistinta da una continua paura del fallimento: non sei un uomo se non hai successo, constantemente, all’infinito. Il punto su cui l’autore insiste è che la virilità, in America, non è mai un dato acquisito una volta per tutte, ma al contrario una condizione, qualcosa che dev’essere costantemente dimostrato, una prova continua”[pg.434]. È l’esasperazione del successo a tutti i costi, quello spirito del capitalismo intrinsecamente intrecciato all’etica protestante e al suo cardine dottrinale, la predestinazione, di cui Max Weber scriveva già un secolo fa in maniera lucidissima. Per questo il combattimento sul ring diventa un surrogato della vita quotidiana, solo un po’ più nobile, come meno volgarità e grettezza. Salendo sul ring, che sia da boxe o di un posto di lavoro, si deve imparare a “combattere da feriti” e a non mollare mai, estendendo, per tale motivo, il messaggio di Cuore guerriero a tutti: “Volevo sapere quali fossero gli elementi chiave della lotta a terra e su cosa mi sarei dovuto concentrare. La risposta, quando arrivava da Zé o da Murilo, era illuminante: l’umiltà. Bisogna sempre dare per scontato che l’avversario sia migliore di te, che ne sappia di più. Devi allenarti molto duramente e imparare sempre qualcosa. Conosci solo il cinque per cento di quello che c’è da sapere. Combatti il tuo orgoglio e il tuo ego, tieni la mente aperta e cerca sempre di apprendere nuove tecniche, nuove cose, da chiunque” [pg.180]. Non sarà una novità, ma, almeno per quel che mi riguarda, è sempre utile ripassare i concetti fondamentali dell’esistenza, estrapolare da altre storie insegnamenti e spunti di riflessione per la propria, di storia.

Sam Sheridan
Ma Cuore guerriero è anche una incredibile avventura che solo in un Paese in grado di offrire opportunità a chiunque se le meriti e abbia le sufficienti palle per provarci, gli States, si poteva scrivere. Sheridan, laureato ad Harvard, ha deliberatamente scelto di fottersene della potenziale carriera che una delle università più prestigiose del mondo è in grado di offrire, preferendo inchiodare la laurea sulla parete della cameretta e arruolarsi nella marina mercantile, per poi accettare una offerta di lavoro per la costruzione di una base scientifica in Antartide e mettere in tasca i soldi sufficienti per proseguire la propria ricerca nel mondo del combattimento dopo il ritorno dalla Thailandia e aver disputato e vinto il suo primo combattimento di muay thai. Perché Sam Sheridan ha vissuto in prima persona, non è stato solo un giornalista, un autore di cronaca che guarda e scrive, ma ha dato vita una sorta di lungo diario scritto con uno stile rapido ed essenziale e avvincente come un romanzo, mettendo a frutto il potenziale fornito dall’esperienza diretta, dalle costole incrinate e dalle arcate sopracigliari sanguinanti. E per pagarsi tutto ciò, Sheridan, ha venduto, di volta in volta, i capitoli e il progetto del libro a riviste ed editori, tirando su il denaro sufficiente per sostenere le spese di questo lavoro di ricerca. Beh, personalmente non riesco neanche a pensare una cosa simile qui da noi, a maggior ragione sapendo che Sheridan, all’epoca, non era uno scrittore affermato, ma un emerito sconosciuto.

Il risultato è un reportage con il “cuore in mano” capace di mischiare Mike Tyson con Friedrich Nietszche, uno sguardo da dentro che ha come unico fine il tentativo di illuminare quel lato oscuro dell’animo umano, quello più violento e animale, con cui tutti i giorni dobbiamo fare i conti, nelle nostre vite minute così come nei grandi avvenimenti della Storia. E per gli amanti del cinema di genere una chicca: il dietro le quinte del film Bobby Z, tratto da un lavoro di Don Winslow dal regista John Herzfeld. Imperdibile.

 

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